Goletta Verde

Flash mob di Goletta Verde a Porto Corsini

Flash mob di Goletta Verde contro il progetto di Eni di Cattura e Stoccaggio di CO2 al largo di Ravenna e per chiedere che le piattaforme inutilizzate vengano dismesse.

Trasformare l’Adriatico da distretto del fossile a polo delle rinnovabili, con investimenti sull’eolico e fotovoltaico off shore”

Legambiente: “Nessuna autorizzazione ad ENI su un progetto insensato così come non deve essere speso nessun euro pubblico per finanziarlo. Il governo intervenga su ENI, azienda a partecipazione statale, per trasformarla in un’azienda green. Non possiamo più rimandare la dismissione delle piattaforme non più produttive, da smantellare con relativa bonifica delle aree”

Sì al futuro, sì alle rinnovabili è il tema del flash mob che si è tenuto questa mattina sulla spiaggia libera di Porto Corsini, per ribadire che il futuro energetico del nostro paese non può passare per le fonti fossili, e che bisogna investire sulle rinnovabili a partire dall’eolico e dal fotovoltaico anche a mare, che deve essere liberato anche dalle piattaforme di estrazione di idrocarburi che deturpano da decenni il paesaggio costiero.

Nell’alto Adriatico infatti, a largo della costa dell’Emilia Romagna fino al confine con il Veneto e con il Parco del Delta del Po, ci sono 77 piattaforme che estraggono gas. Di queste ben 12 rientrano nell’elenco delle piattaforme da dismettere nei prossimi anni, secondo quanto previsto dal programma di decommissioning portato avanti nel corso degli ultimi anni.

A seguito dell’entrata in vigore del Decreto ministeriale 15 febbraio 2019, entro il 31 marzo di ogni anno le compagnie petrolifere forniscono al Ministero dello Sviluppo Economico DGS-UNMIG (ora DGISSEG) l’elenco delle piattaforme i cui pozzi sono stati autorizzati alla chiusura mineraria e che non intendono utilizzare ulteriormente per attività di estrazione.

Ad oggi abbiamo solo 5 piattaforme petrolifere offshore che hanno intrapreso ufficialmente la strada del decommissioning (smantellamento): ADA3, AZALEA A, PORTO CORSINI 73, ARMIDA 1 e REGINA 1 tutte a largo delle coste veneto romagnole.

Il decommissioning offshore relativo al Distretto di Ravenna prevede un impegno economico di circa 150 milioni di euro in quattro anni con 33 pozzi da chiudere e 15 strutture da dismettere, che aspettano il rilascio delle necessarie autorizzazioni.

Non c’è solo il problema delle piattaforme da dismettere, ma anche il rischio della realizzazione dell’impianto di cattura e confinamento della CO2 nei fondali in alto Adriatico. PORTO CORSINI MARE è la concessione Eni che si trova al largo della costa ravennate e per la quale è stata chiesta, lo scorso 31 maggio, l’autorizzazione al Ministero della Transizione Ecologica per lo stoccaggio della CO2 nei giacimenti esauriti. L’idea è quella di catturare la CO2 direttamente dagli impianti industriali e di iniettarla all’interno di serbatoi naturali in profondità rimasti vuoti dopo l’estrazione di gas. Mentre tutto il mondo parla di obiettivi di decarbonizzazione e di come sviluppare urgentemente azioni di adattamento e di mitigazione alla crisi climatica, l’ENI continua a investire sulle fonti fossili e pensa di farsi pagare dall’Europa il discutibile progetto di confinamento geologico della CO2 nei fondali marini davanti alla costa di Ravenna.

Eni continua a sbagliare rotta – dichiara Stefano Ciafani presidente nazionale di Legambiente – Chiediamo al governo di essere coerente con gli impegni sottoscritti a livello internazionale per fermare la crisi climatica. Non è più procrastinabile l’avvio di un piano di riconversione delle attività dell’azienda che punti realmente alla sostenibilità e alle rinnovabili, come sta avvenendo per altre grandi multinazionali del petrolio e del gas nel resto del mondo. Solo così si potranno garantire nuovi posti di lavoro, attraverso uno sviluppo sostenibile del territorio, che non si ripercuota sulla salute dei cittadini e delle cittadine. Invece di spendere soldi pubblici su un incomprensibile progetto di CCS, queste risorse vanno investite in maniera decisa su impiantistica legata allo sviluppo delle rinnovabili come l’eolico e fotovoltaico offshore e l’idrogeno verde che va utilizzato solo dove è strettamente necessario. Il distretto ravennate, grazie a queste innovazioni tecnologiche, potrebbe riconvertire in pochi anni le sue attività finora fondate sull’estrazione degli idrocarburi. È questo il futuro di questo territorio”.

Il nostro Paese continua a compiere passi falsi in tema di transizione energetica e riduzione fino all’eliminazione delle fonti fossili, che disegnano uno scenario assolutamente non in linea con quelle che sono le politiche e le strategie per la decarbonizzazione del Paese e del Pianeta.

Sono 110 le infrastrutture a gas previste nel nostro Paese tra nuove realizzazioni e ampliamenti di centrali, metanodotti, depositi, rigassificatori e nuove richieste sul fronte delle estrazioni di idrocarburi, in valutazione dal Ministero dell’Ambiente o in alcune Regioni.

Una corsa al gas che, se tutte le opere fossero approvate, il nostro Paese pagherà dal punto di vista climatico ed economico con una spesa stimata di 30,2 miliardi di euro. Un importo pari quasi a una finanziaria pre-Covid a disposizione del settore fossile.

Eni è il principale dei 33 Nemici del Clima del settore energetico, cioè le aziende e le infrastrutture le cui attività contribuiscono in maniera drammatica al cambiamento climatico e all’inquinamento locale, che Legambiente ha censito nell’ambito della campagna Change Climate Change.

Da una parte Eni si eleva a paladina del clima prodigandosi per la rimozione della CO2 emessa dalle proprie attività dannose, dall’altra va ad incrementare la produzione di idrocarburi rimandando la dismissione di quegli impianti non più produttivi che dovrebbero andare a smantellamento con relativa bonifica delle aree.

Per noi transizione energetica significa uscire con decisione dall’uso delle fonti fossili, senza realizzare nessuna nuova infrastruttura per lo sfruttamento degli idrocarburi – dichiara Lorenzo Frattini, presidente Legambiente Emilia Romagna. Alla crisi economica del distretto industriale di Ravenna occorre rispondere con politiche utili al clima e al lavoro: investire da subito su eolico off shore, fotovoltaico, idrogeno verde, accumuli, interventi di efficientamento energetico, nei comparti produttivi, nel terziario, nelle abitazioni, nella mobilità. Di fronte alle nostre coste abbiamo ben due grandi progetti di rinnovabili che se realizzati diminuirebbero di molto le emissioni regionali e aiuterebbero a raggiungere entro il 2035 l’obiettivo del 100% di rinnovabili dichiarato dalla Giunta Bonaccini. Tra questi ci sono ipotesi molto innovative come la sperimentazione di fotovoltaico flottante, non ancora presente in Italia. Anche la dismissione delle piattaforme è un’attività che impegnerebbe per diversi anni il know how delle imprese del settore, ma che purtroppo stenta a partire.”

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