Goletta Verde

La Sicilia diventi la regione delle rinnovabili, Legambiente ribadisce lo stop alle fonti fossili

Alla luce delle consultazioni avviate per il Piano energetico ambientale della Regione Siciliana (PEARS), Legambiente torna a ribadire la necessità di smantellare le piattaforme petrolifere e tutti gli altri impianti di produzione dell’energia da fonti fossili attualmente in funzione in Sicilia e puntare definitivamente sulle fonti rinnovabili, ancora non abbastanza sfruttate in Regione. In Sicilia come nel resto d’Italia, infatti, l’energia pulita cresce ancora troppo lentamente rispetto a quanto si potrebbe e si dovrebbe fare per rispettare gli impegni nella lotta ai cambiamenti climatici: di questo passo, gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano energia e clima (Pniec) verrebbero raggiungi con 20 anni di ritardo.

Quest’anno la Goletta Verde di Legambiente – proprio in questi giorni in Sicilia – non viaggia come sempre coast to coast, ma assume una formula inedita a causa delle restrizioni e del distanziamento fisico imposti dalla pandemia. Citizen science e territorialità sono le parole chiave per continuare a non abbassare la guardia sulla qualità delle acque e sugli abusi che minacciano le coste. Tra i grandi temi portati avanti dalla Goletta si inserisce naturalmente la questione climatica e la lotta alle fonti fossili che l’innalzamento delle temperature ci impone di sostituire subito con le tecnologie pulite.

La Regione Sicilia, secondo i dati Terna, ha consumato nel 2018 20,6 TWh di energia elettrica, di cui solo 5,5 TWh, pari a circa il 26% dell’energia richiesta, prodotti dagli oltre 54 mila impianti da fonti rinnovabili presenti nel territorio. Tra le rinnovabili il maggior contributo arriva dall’eolico con 3,2 TWh, seguita da 1,8 TWh di fotovoltaico. Numeri che già da soli indicano la necessità di questa grande isola, che nasconde un enorme potenziale di produzione viste le caratteristiche, di dover incrementare in modo importante e urgente la produzione da energia verde se si vogliono raggiungere entro il 2030 almeno gli obiettivi climatici, ma anche quelli previsti dal piano energetico regionale.

Questa invece risulta ancora la seconda regione per sfruttamento di fonti fossili, con oltre 182 milioni di metri cubi di gas estratto, tra terraferma e mare, i circa 677 milioni di kg di petrolio e gli oltre 8 milioni di gasolina estratti. A questi si aggiungono i 104 impianti per la produzione di energia fossile. Numeri impressionanti se si considera l’urgenza di invertire la rotta vista la situazione climatica e gli appena 8 anni di tempo. Una situazione che dà una chiara idea di quanta strada ancora ci sia da fare per portare la Regione fuori dalle fossili.

Eppure questo territorio nasconde un grande potenziale, rappresentato secondo la stessa Regione, dalla possibilità di sviluppare oltre 35.000 addetti l’anno tra il 2020 e il 2030, grazie ad un piano di investimenti di 15,5 miliardi da realizzare e che vedono protagonista l’eolico con un potenziale di 6,17 TWh entro il 2030, seguito da 5,95 TWh di produzione da solare fotovoltaico, ma anche solare termodinamico, idroelettrico, biomasse e moto ondoso con 1,1 TWh di produzione complessiva, passando così dai 5,5 TWh attuali a 13,22. Il tutto consentendo, sempre secondo il Piano energetico regionale, di ridurre del 55% la produzione termoelettrica, con importanti risvolti ambientali e climatici, oltre che sociali.

Diversi i vantaggi di un cambio di rotta. A partire dalla risoluzione di vecchie criticità come quella di Gela dove è presente dagli anni ‘60 il polo petrolchimico dell’Eni che ha inquinato l’aria, il suolo, le falde e la città danneggiando fortemente la salute dei cittadini, la situazione resta sempre difficile e dove ancora oggi le bonifiche del territorio procedono a rilento. Ricordiamo che Gela fu dichiarata area ad elevato rischio ambientale nel 1990 e fu inserita nel 1998 tra i primi Siti di interesse nazionale da bonificare.

Una situazione aggravata dai nuovi investimenti ENI, che invece di puntare sulle vere e sostenibili rinnovabili investe sui finti biocarburanti prodotti con olio di palma e derivati che la stessa Commissione Europea nella direttiva rinnovabili ha definito a rischio per le foreste tropicali e per la biodiversità. In questi anni, infatti, per soddisfare la sete europea di olio di palma, milioni di ettari di foresta pluviale sono stati distrutti per permettere l’espansione delle piantagioni di palme da olio, mettendo in pericolo anche gli oranghi delle foreste del Borneo (Indonesia e Malesia) e le popolazioni indigene.

I dati sul potenziale non sfruttato dell’eolico e del solare in Sicilia, si allineano purtroppo a quelli nazionali. Anche in Italia infatti, l’impegno in tal senso è largamente insufficiente. Basti pensare che la quota dei consumi finali lordi di energia coperta da fonti rinnovabili è cresciuta tra il 2012 e il 2017 di appena 3 punti percentuali. E che il solare fotovoltaico, nella terra del sole, stando ai dati del GSE, nel 2019 è cresciuto di appena 2,3 MW rispetto all’anno precedente. Solo 82 nuovi MW di installato per l’eolico tra il 2017 e il 2018. Eppure il Piano d’Azione Nazionale (PAN) individuava nel 2010, in attuazione della Direttiva 2009/28/CE un obiettivo di installazioni al 2020 pari a circa 12.680 MW di cui 12.000 MW on-shore e 680 MW off-shore. Oggi a livello nazionale siamo a due mila MW in meno sulla terra ferma e il target per l’off shore è totalmente mancato. La media di installazioni di impianti eolici all’anno, dal 2015 a oggi, è di appena 390 MW. Nel 2019 le installazioni sono leggermente cresciute con 400 nuovi MW (meno 118 MW rispetto al 2018), arrivando a 10,7 GW di potenza complessiva, numeri assolutamente inadeguati per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano Energia e Clima, e che presto dovranno essere rivisti con l’innalzamento dei target previsti a livello europeo. L’Italia dovrà infatti impegnarsi a installare almeno 1 GW di potenza eolica l’anno con impianti a terra e in mare, e in parallelo realizzare investimenti diffusi per ridurre drasticamente consumi energetici e emissioni di CO2 in tutti i settori produttivi. E almeno 3/4 GW di potenza di solare fotovoltaico, contro l’1,4 GW potenza installata negli ultimi 3 anni.

“Il Piano energetico regionale – dichiara il presidente di Legambiente Sicilia, Gianfranco Zanna -vorrebbe raggiungere l’autonoma energetica della Sicilia entro il 2030, con una ipotetica divisione: il 66% di energia prodotta dalle rinnovabili e il 33% dal metano. Magari fosse raggiunto questo ambizioso traguardo! A noi appare un’utopia. Comunque, per la nostra collocazione geografica e per le nostre potenzialità, la Sicilia, sicuramente ci vorrà qualche anno in più, non può puntare alla sola sua autonomia energetica. Deve necessariamente dare e fare molto di più per la decarbonizzazione dell’intero Paese. La Sicilia deve essere ‘la regione delle rinnovabili’ e per raggiungere questo serio obiettivo, la prima battaglia da fare è quella contro la sindrome Nimby, perché se i territori, i consigli comunali, i sindaci, continuano a dire sempre e solo dei no a tutti gli impianti che possono produrre energia rinnovabile, compresi i digestori anaerobici per i rifiuti umidi, non andremo da nessuna parte”.

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